“Il Ritmo Delle Cose”: La Metafora Sui Social Che Nessuno Ha Voluto Capire
Giusy Caso
Mai una gioia. Neanche i +30 punti del FantaSanremo per l’arrivo al fondo classifica: “Il Ritmo delle Cose” al Festival di Sanremo 2025 si schianta (ingiustamente, a mio parere) 28esima e Rkomi non si prende nemmeno quella piccola soddisfazione di potersi dire “gli ultimi saranno i primi”.
Di fatto, i penultimi sono possibilmente più invisibili degli ultimi, e semplicemente perché nessuno ne parla. E lo diventano ancor di più (invisibili) se trattano di cose troppo scomode, o troppo complesse per essere capite da un pubblico ipnotizzato da ballad strappalacrime.
Eppure, la canzone è potente. A me lo è sembrata fin dalla sola lettura del testo, in anteprima sul sito di Tv Sorrisi e Canzoni, ancor prima di scoprire la ritmica accattivante che lo accompagna.
Rkomi ha portato all’Ariston un manifesto esagerato contro la superficialità del nostro tempo, e forse, per certi versi, la canzone più politica del Festival, ma senza che nessuno se ne accorgesse: “Il Ritmo delle Cose” ci fa ascoltare una quotidianità dal ritmo che scorre veloce, coinvolgente, ma che è fatta di gesti ripetuti e svuotati di significato; un’illusione di intensità che si sgretola in un’inutile corsa verso il nulla, in un continuo e “violento decrescendo”.
La frase che mi ha colpita di più è quella dove Mirko dice: “È un inferno a fuoco lento”. E qui entriamo nella vera, gigantesca metafora “social-e” che mi sono ritrovata a cogliere dopo il quarto o quinto ascolto. Questa immagine, quella dell’inferno a fuoco lento, mi richiama alla mente il principio della rana bollita di Noam Chomsky (ma credo che Rkomi volesse intenzionalmente veicolarla). Per chi non la conoscesse, il principio illustra che se metti una rana in acqua bollente, salterà fuori immediatamente. Ma se la immergi in acqua tiepida e aumenti gradualmente la temperatura, si abituerà al calore fino a cuocere viva, senza accorgersene.
Ora, facciamo un piccolo sforzo e sostituiamo la rana con noi stessi. Il calderone, invece, è il mondo digitale.

Benvenuti nell’era social, dove siamo tutti rane beate che sguazzano in un brodo tiepido di contenuti confezionati ad arte, micro-dopamine facili da consumare e notizie che ci sembrano nuove ma in realtà girano in loop. Un tempo forse ci facevamo due domande, ma oggi siamo completamente immersi, incapaci di riconoscere il momento in cui il bollore diventa letale. E nel frattempo? Scrolliamo. Mettiamo like. Consumiamo. Senza accorgerci che il ritmo con cui lo facciamo ci sta cuocendo vivi.
I social ci hanno convinti che stiamo decidendo liberamente di quali contenuti fruire, a cosa appassionarci, a cosa dare la nostra attenzione, mentre in realtà stiamo semplicemente accettando la temperatura sempre più alta senza reagire. Ogni trend spinto dagli algoritmi, ogni polemica costruita ad arte serve a distrarci dal fatto che la temperatura dell’acqua sta salendo. Ma non saltiamo fuori. Ci adattiamo. Diventiamo parte del sistema che ci consuma. E quando ci accorgeremo che è troppo tardi? Quando saremo già bolliti.
“Il Ritmo delle Cose” è questo: il caos contemporaneo, il movimento frenetico che nasconde un lento declino, che ci fa credere di stare vivendo un’esperienza intensa mentre in realtà stiamo solo scivolando verso il nulla.
È una canzone che avrebbe dovuto farci tremare, invece di finire sepolta in classifica. In un Festival dove, per non addormentarci, ci siamo fatti catturare da motivetti facili e tormentoni usa-e-getta, l’unico vero ritmo che avrebbe dovuto tenerci svegli era quello di Rkomi.

Ecco altre considerazioni sul significato del testo “Il Ritmo Delle Cose” di Rkomi (che applico liberamente al mondo dei social)
“Il caos non sciopera mai / Ovunque prende forma”
Sui social, il rumore di fondo è talmente onnipresente che nemmeno ci accorgiamo più di essere travolti.
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“Esco da un’altra festa, esco dall’algoritmo / Ritrovo la bellezza solo dietro l’imprevisto”
L’algoritmo, come una festa da cui non vogliamo andarcene, ci intrappola in una routine che assomiglia a una gabbia dorata, dove già sappiamo cosa aspettarci; la vera bellezza della vita esiste fuori da questo circuito, nell’imprevisto. Ma forse ci stiamo disabituando ad affrontarlo.
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“E ti stancherai come fai coi vestiti / Mi romperai come i tuoi giochi preferiti”
Un comportamento perfettamente applicabile al modo in cui usiamo (e scrolliamo via) contenuti online: senza una reale cura e senza dare un reale valore.
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“Pornografia ma senza sesso / Effetto senza droga”
L’illusione del tutto e subito: un mondo di immagini, stimoli e desideri che
promettono tanto ma non lasciano nulla di reale.
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“Quante cose distruggiamo costruendo / È un violento decrescendo”
Un paradosso: crediamo di creare qualcosa di nuovo, utile, monetizzabile (un profilo, un contenuto, una community), ma forse, nel rincorrere falsi idoli, stiamo solo demolendo sempre più la nostra capacità di connessione vera e di pensiero critico.
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“Forse solo la stanchezza / Ti porta dentro quella stanza / Che hanno chiamato libertà / Di dire no, di dire basta”
La falsa promessa della libertà digitale: puoi dire “basta”, puoi spegnere tutto e uscire quando vuoi, ma lo fai davvero? Oppure sei così stanco che
la cosa più facile è restare dentro?