Marketinghese? No, grazie. Preferisco dirlo semplice.
Giusy Caso
C’è stato un tempo in cui mi sentivo in colpa.
Sì, davvero.
Colpevole di non sapere parlare…marketinghese.
Mi aggiravo tra post su LinkedIn, caroselli su Instagram e video su Youtube dove si faceva a gara a chi accumulava in 10 secondi più sigle e termini del tipo: KPI, CTR, CAC, MER, prospecting, angles, conversion rate, earned media value, e così via.
Io, nel dubbio, mi prendevo un moment. No, non un momento. Proprio un moment. Che mal di testa a provare di capire tutto quello che mi passava davanti.
La verità? Dopo il master in comunicazione, la mia prima vera formazione sul campo è stata da autodidatta. Senza tutor. O meglio, senza tutor che ne sapessero davvero più di me. Solo tanta pratica e tanti errori (e bestemmie per capire perché il mio lavoro in organico non funzionasse e perchè in gestione inserzioni andasse pure peggio). Ho imparato tutte le basi del mio lavoro empiricamente.
Quando poi ho abbandonato la vita da dipendente e mi sono data alla carriera freelance ho iniziato a fare indigestione di corsi e libri di settore. Così, oltre a competenze più verticali in social media marketing, ho acquisito anche la famigerata terminologia del mestiere.
Eppure, mi sono resa conto che nel confrontarmi con gli altri (clienti e, successivamente, studenti) mi veniva comunque più naturale parlare in modo semplice. Magari perché ero abituata a ragionare in quel modo: perché, quindi, forzarmi a fare qualcosa di diverso?
Attenzione, non sto dicendo che i tecnicismi siano inutili. Anche semplicemente per studiare, formarsi e aggiornarsi è necessario conoscerli. Ora contestualizzo.
Nel tempo ho capito che il linguaggio crea realtà.
E usare un linguaggio accessibile, empatico, umano crea una realtà in cui le persone si capiscono. Che nel marketing e nella comunicazione è una specie di miracolo.
Quindi no, non mi sento più una “mezza professionista” solo perché non parlo come un PowerPoint uscito da una digital agency milanese.
Anzi: le cose hanno iniziato ad andare meglio per me proprio quando ho smesso di farmi venire il complesso dei paroloni.
Mi sono arrivati dai clienti e dagli studenti feedback tipo:
“Sei chiara e ti seguo con facilità”.
“Mi sento meno stupido quando mi parli tu”.
“Finalmente ho capito cosa fa un social media manager e soprattutto cosa devo fare io per lavorare con te”.
“È un piacere ascoltare qualcuno di così empatico e poco cattedratico”.
E sai una cosa?
Essere capita è il miglior posizionamento possibile. Almeno per me.
Mi viene da dire: forse, non serve conoscere tutti i termini giusti per farsi valere nel proprio ambito. Basta sapere bene ciò di cui si sta parlando e saperlo trasmettere.
E anzi, a volte quei paroloni sono come certi vestiti troppo eleganti: ti fanno sentire figo, ma scomodo. E spesso fanno sentire a disagio anche chi ti ascolta.
Per me parlare semplice è un atto di generosità e di umiltà.
Significa fare uno sforzo per farsi capire, non per farsi notare.
Significa mettere al centro l’altro, non il proprio ego da professionista.
E no, parlare semplice non vuol dire semplificare troppo o banalizzare.
Vuol dire scegliere parole concrete, immagini chiare, esempi pratici. Vuol dire togliere i fronzoli e andare dritti al punto.
In un mondo saturo di comunicazione autoreferenziale, chi riesce a spiegare le cose complesse in modo semplice ha un vantaggio competitivo enorme: viene ricordato, ascoltato, apprezzato. Che sia da persone comuni, da aspiranti o da addetti ai lavori. Lo noto nella comunicazione con i clienti che ho in gestione, in quella con i miei studenti, perfino in quella con altri addetti ai lavori che di terminologia specialistica ne masticano probabilmente molta più di me.
Perché?
Perché le persone si fidano di chi le fa sentire a proprio agio, non inadeguate.
Perché le persone si avvicinano a chi non ha bisogno o voglia di impressionare, ma sa entrare in relazione.
La comunicazione, quella vera, dovrebbe costruire ponti, non muri. E le connessioni più autentiche e durature nascono non tanto da chi usa parole altisonanti, ma da chi sa farsi capire davvero.
Quindi, se anche tu ogni tanto ti senti in difetto perché non parli “da marketing guru”, fai un bel respiro.
E poi dillo semplice. Che funziona.
Sei un aspirante social media manager e desideri imparare il mestiere con qualcuno che ti segua passo dopo passo?
Sei a capo o fai parte di un’azienda che sta pensando di implementare una strategia di social media marketing?